Toronto, in teatro c’è un’audizione musicale da parte di un’orchestra composta prevalentemente da uomini. I selezionatori sono bendati. Tv: The Voice, i giudici sono di spalle ai cantanti e si girano a guardarli solo dopo essere stati convinti dalle loro voci. Cosa hanno in comune questi due contesti? Un processo chiamato blind audition, che spostato sul campo del lavoro diventa “Blind recruitment”, una tecnica di selezione che prevede la cancellazione di alcune informazioni relative ai candidati (nome, genere, età, educazione, razza…) per eliminare ogni possibile pregiudizio nella scelta.
Ho sempre considerato che nella realtà complessa e multidimensionale che stiamo attraversando, i dati su cui ci si sofferma sono spesso pregiudizievoli rispetto al resto. Può essere ancora un criterio valido il voto di laurea o di diploma, ad esempio, o l’Università di provenienza? Secondo me no, o almeno non in modo totalizzante.
Qui in Italia il blind recruitment non è ancora molto diffuso ma in realtà multietniche sta diventando una meravigliosa prassi, almeno nelle organizzazioni più coraggiose. Uno studio pubblicato negli USA afferma che le persone con nomi esotici sono costrette ad inviare il 50% dei cv in più rispetto a un “bianco” per sperare di essere chiamati a colloquio. In un mondo in cui la complessità e la diversità sono diventati valori, capiamo che sarebbe una vera autolimitazione fermarsi a dettagli che indagano magari la provenienza, la classe sociale, il genere, piuttosto che il reale potenziale.
«Il blind recruitment non è un vantaggio solo per i candidati che provengono da minoranze etniche, ma diventa un valore per l’azienda, che vede aumentare la diversità nell’ambiente di lavoro con benefici su ogni aspetto del suo business» spiega Azmat Mohammed, direttore di Institute of Recruiters a FastCompany, ripreso da Wired -. Dalle nostre ricerche emerge che una maggiore diversità nella forza lavoro riflette di più composizione della tua clientela, fa guadagnare più soldi e crea team più solidi».
Azmat Mohammed consiglia di capire prima quanto lontano ci si voglia spingere, per poi andare ad eliminare i dati sensibili in funzione del grado di diversità da raggiungere. Cita come esempio la società di consulenza legale Clifford Chance, che voleva assumere neolaureati capaci, di talento, ma senza essere influenzata dal College di provenienza. Nel loro processo di blind recruitment decisero di eliminare questo dato. Occorre poi creare dei meccanismi di valutazione che vadano a premiare l’attitudine mentale, il potenziale, la flessibilità, il problem solving o le varie skill che rispondono alla ricerca della persona giusta, indipendentemente da nome o colore della pelle. Infine, occorre agire all’interno dell’organizzazione per abbattere il pregiudizio, allenando manager e dipendenti a riconoscerli e ad eliminarli. Tutto questo, dice Mohammed, permette di assumere davvero le persone migliori e di spingere il tuo business lontano.
PS: dopo le selezioni in blind, la composizione dell’orchestra di Toronto è cambiata radicalmente, con le donne che sono andate ad occupare il 50% dei posti.
Vito Verrastro